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NEL (primo) VERSO
Tomo I - Luglio 2007

su Lulu e nei blog
NEL VERSO e TRA NEBBIE E FANGO

Contiene sette poesie dalla raccolta
Il male inconsapevole


IL MONDO ACUMINATO DI BRANDOLINI

Il libro è ordinato dentro due grandi parentesi di rose: “Così le immagini / assillano di meno /delle rose rosse / bruciate dal dolore” (pag. 11) e “distoglimi dalle parole che fanno rumore. // Non dalla rosa che si spoglia /dalla strada suggerita dal corpo / dichiarato inadatto a percepire / la vita che fluisce in una spina” (pag. 72).
Fra queste due parentesi di controverso argine del male, si snodano i diversi livelli di una narrazione del dolore, privato e collettivo, che non sa rendersi capace, in nessun suo punto, della ragione che l’ha generato.
Ci sono pagine di diario, abbozzi di racconto, episodi lirici, c’è la capacità di passare da un piano all’altro con la naturalezza e la franchezza di chi sente di aver perduto tutto.
Il male, sembra di capire, è una grande calamita: ne sono attratti gli errori dei singoli e le colpe della società, la mancate integrazioni e le disintegrazioni ne disegnano i confini, che non cessano di allargarsi.
Il male, in ogni caso, è piccolo punto di fede inconsapevole, per il quale si è puniti con la consapevolezza del dolore. Alla fine, il male non si potrà amarlo: l’inconsapevole è anche l’inevitabile, e in ogni sua sfumatura. Il male non ha peso, e Brandolini alleggerisce via via le sue pagine caricandole di tutto il male che può essersi fatto per un amore, per l’amore, insostituibile.
Queste poesie, infine, sono i teoremi di una malattia. Il marcato cerebralismo di certi snodi (“Nella casa mentale l’ordine sovrasta il pensiero / il letto è il chiodo trafitto dall’ombra dei cuori”, pag. 62) serve per fissare il foglio su cui si scrive e si disegna, per paura che il vento porti via il dono, diventato così prezioso ed essenziale, del dolore.
Il mondo diventa acuminato: chiodi e spine, ogni trafittura penetra, inocula, ma non fa uscire il flusso di sangue che farebbe scendere i valori della pressione. Che resta alta, ma sotto controllo. Altro non si può fare, non c sono interventi chirurgici risolutori, non c’è una terapia palliativa. In fondo, ci si trova di fronte, persino a letto, un simulacro di morte che, a ragione, ha più ragione di esistere di quanto gli vive intorno (v. L’ospite, pag. 63).
Si vive soltanto sopravvivendo, chiamando a sé le parentesi profumate di cui dicevamo all’inizio: “la sospensione / della paura” mette il dolore fra parentesi.

((mater)




    *
L’azione imprevista dell’onda
annulla la fermezza del silenzio
più simile alla morte che all’erba
cresciuta sui lampioni delle strade.

Al mare le ore procedono meglio
ci si ricopre di salsedine
si mettono le pinne
in pochi minuti si sta fuori dal deserto.
Così lo spazio bianco non finisce
nel pozzo dell’inchiostro
prova ad allungarsi verso il meridione
a infilare i sogni nelle tasche del vento.

La strategia del sonno
isolata nel vuoto
presa all’arpione
sottratta alle tenebre
è la nostra memoria
ripulita dal rancore.
Così le immagini
assillano di meno
delle rose rosse
bruciate dal dolore.


QUASI UNA LAGUNA

    Qui non tornerò più.
    Lo ritrova scolpito
    sulla pietra affilata
    che lenta rotola giù
    per la calle allagata.
Sono piedi e mani a reclamare la voglia
d’esistere e non stare bloccati sul ponte
tra persone distanti che non si conoscono
a scrutare barche affossate all’orizzonte.
    Né passione né lotta
    si procede, si aspetta
    nemici quasi innocenti
    il cielo oggi è una festa
    rallegrata dagli uccelli
    l’acqua rotola intorno
    per questo i muscoli
    delle stelle e della luna
    s’ingolfano di luce
    sfocata e sprovveduta.
Però: ti amo, pensa, e vorrebbe
non essere odiato se non lo dice.


LIBERA USCITA

Dopo anni di galera gli occhi si rimettono in moto
e fanno vedere giovani donne dal seno poderoso
scavalcano il buio la siepe l’erba il prato
ci s’imbatte in un uomo: un padre, forse
e l’ombra che l’insegue.
Lui non era sul conto
non è stato il frutto, ma il risultato
del freddo polare, quello che forma strati d’aria
per arrampicarsi e finire lassù dove il panorama
sconforta e allo stesso tempo innalza in risposte
oneste, altrimenti il buio vizia e il mondo squarta
la pelle diventa colla o sudore che intacca le dita
il metallico bosco delle gru e delle scavatrici
confonde le strade sicure e il giorno che si rilassa.

Sono mesi che il tuo rude disprezzo rinforza il disagio
allora meglio saltare il fosso, sì, l’ultimo che resta
o remare controcorrente nel rumore sordo
randagiare per ore e non smettere
di mentire, zufolarsi
all’orecchio parole oscene
di libertà e leggerezza. Così che la barca possa
un giorno riprendere a navigare e la rotta
sia pure la più ingenua: tanto se andrò
a fondo
farò del male solo a me stesso
a una parte irrilevante del mondo.


QUELLO CHE NON MERITO

Dentro di noi ci sono i pali delle luci
e i segnali abbattuti dal freddo polare
mi tendi la mano a uncino e io l’afferro
mi sollevo appena sulla punta dei piedi.

Più in alto trovo la sabbia e l’allegra
fila delle orme degli uccelli: la scrittura
insonne, vibrante nel rosso delle rose
nelle vene che scoppiano sulla fronte
nei segni dell’abbandono, delle spine
e sotto i cavi ghiacci perché uso il male
come un piccone, un martello pneumatico
vado a fondo nella carne (la mia, la nostra)
porto via il fegato, i polmoni, il cuore.

    Quello che resta degli occhi


DICEMBRE 04

Atolli sommersi dall’acqua marina
scompare la terra, scompare la vita.
Quando si nasce, si sa
si è già come morti
per questo nel manto verde dei sogni
poi non ci sono più foglie, né spine.
Quello che non capisco è come mai
la tragedia attira soltanto gli occhi.
non resterà nulla di questo istante, nemmeno l’odore delle rose. per questo frulli via la lingua e la musica e quest’aria incosciente e assassina che ci lascia respirare è cristallo smerigliato. sguardi innocenti raggirano l’occhio, lo scavano nel bianco della pupilla, con un cucchiaio lo estraggono dal fondo del bambino, lo strappano dal ventre dell’adulto che mangia se stesso per nutrirsi e sopravvivere. il cielo è uno strato duro e liscio sotto i piedi, riflette il bene come se fosse il male e l’azzurro del suo sguardo come se fosse il buio d’un amore appeso al sottili ganci stellari. poi ci assale la notte, divora il silenzio e alla terra fa molto male.

È l’inferno. Dopo l’acqua ritorna
nella solita culla e riposa per giorni.
Che dormano in pace i morti sepolti!


CON LE LABBRA CUCITE

Ho portato le labbra da un calzolaio
l’ultimo della zona a indossare
sempre un camice di cuoio
imbrattato di lucidi d’ogni colore.
Me le ha cucite per bene con un ago speciale
tanto che il dolore era davvero insopportabile
e il filo d’acciaio appena si vede
così per non parlare avremo la scusa buona
potremo starcene per sempre muti.
Il sangue uscito era d’un rosso scandaloso
di foglia autunnale con il canto strozzato in gola
rauco per via degli alberi e degli uccelli abbattuti.

Ora la poca terra che rimane
è quella d’un parco sfrondato
con qualche gioco per stanchi bambini
tipo un’altalena dalla vernice scrostata
un’antica pedana per fare qualche salto.

Altro dovrei dire visto che posso
scrivere ma non parlare
per questo aggiungo e finisco il discorso:
domani porto le mani – queste mani
che puoi vedere – a un bravo falegname
per farmele smussare assieme al naso
così la smetto di respirare
perché non voglio
galleggiare nell’assenza
nel vuoto totale: oh, dolci le labbra cucite
dal calzolaio che indossa il camice di cuoio!


IL PERCORSO DIMENTICATO

Una persona scomparsa in un numero
nel dato statistico. Aggiorna il nulla
forse avvertito al momento del parto.
Mutarsi in fiore nell’antro dell’infinito.

Pessima idea, la tua, di pungermi
e nascondersi. Far finta che il male
si celi nelle immagini convulse
proiettate sulla superficie del bene.

Per questo ti suggerisco la sospensione
della paura: mannaia dei tuoi capelli
del collo e della luna. Scioglimi le nudità
distoglimi dalle parole che fanno rumore.

    Non dalla rosa che si spoglia
    dalla strada suggerita dal corpo
    dichiarato inadatto a percepire
    la vita che fluisce in una spina.



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