chi sono Alessio Brandolini
 
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Antologia critica di Divisori orientali


da Almanacco del Ramo d'Oro, n. 3, dicembre 2003, di Gabriella Musetti

dal sito Fucine Mute, Webmagazine, n. 57, 8 novembre 2003, di Matteo Danieli, (l'originale è qui)

dal sito Sinestesie, Rivista di studi sulle letterature e le arti europee, ottobre 2003, di Raffaele Piazza, (l'originale è qui)

dal sito Writers, settembre 2003, di Ivano Malcotti, (l'originale è qui)

da Il Secolo d'Italia, 8 luglio 2003, rubrica "Il pensiero poetante", di Nicola Vacca

da 30 GIORNI, n. 7, luglio 2003, di Cristiana Lardo

da La Repubblica, edizione pugliese, 15 giugno 2003, rubrica: "I libri"

dal Gazzettino, 16 maggio 2003, di Mary Barbara Tolusso

Motivazione del premio "Alfonso Gatto - Opera prima", Salerno, 7 maggio 2003

da vibrisse, n. 94 del 16 febbraio 2003, di Mary Barbara Tolusso (ora anche sul sito delle edizioni LietoColle)



da Almanacco del Ramo d'Oro, n. 3, dicembre 2003, di Gabriella Musetti     (inizio)

Viaggi di esplorazione o ricognizione del quotidiano in un mondo dopo la catastrofe che ha alterato profondamente i parametri di conoscenza della realtà. Ma c'è stata veramente una catastrofe o piuttosto si è trattato di un lento scivolamento del senso che ha investito in modo sottile e inarrestabile ogni evento della realtà che ci circonda e di cui facciamo parte? I versi di Wislawa Szymborska dati in esergo alla prima poesia confermano ironicamente la percezione del vuoto:

È una gran fortuna
non sapere esattamente
in che mondo si vive.

Da qui parte la ricognizione. Il paesaggio osservato è insieme reale-concreto e allucinatorio, frutto di una visione di un io decentrato, umano e non umano. La visione degli oggetti, dei luoghi, dei rapporti, personali e mediatici, è filtrata da un occhio in posizione obliqua, straniante. Ironia, colori, ricordi, frammenti, parole, incontri, pensieri, gesti, domande, sogni, tutto è dato in un linguaggio asciutto, diretto, spesso con le modalità della comunicazione orale attraverso la presenza di un interlocutore attento, come nel colloquio tra amici o con persone di intimità.
Il soggetto diviene l'oggetto della questione nel gioco di spiazzamento dato dalla dislocazione altra, al di fuori della consuetudine. L'occhio attento dell'autore osserva, annota, confronta, giudica, ma senza livore, limitandosi a registrare eventi, situazioni, rapporti che interrogano il senso dell'esistere. E proprio una domanda di senso sottende le diverse immagini di una realtà colta nel disarticolato e frammentato moltiplicarsi degli eventi, ora casuali, ora indagati con sottigliezza, ora talmente comuni da essere sotto gli occhi di tutti, eppure sfuggire all'attenzione dei più. "Divisori", dunque, a indicare margini non solo nel senso di confini che segnano territori diversi che si possono attraversare e abitare, ma anche a indagare quegli spazi infinitesimali che corrono al bordo delle cose, dove l'attenzione dello sguardo normalmente si perde, passa oltre con noncuranza, perché nel caso si fissasse veramente, come in questo libro, si vedrebbero interi mondi "altri". Come un viaggiatore pronto, con le valigie già chiuse, l'autore attraversa luoghi concreti, comuni, familiari, luoghi interiori, luoghi che rimbalzano dallo schermo televisivo, dalle cronache giornalistiche, luoghi vicini e remoti nel tempo e dello spazio, muovendosi con discrezione tra ampie pianure, città affollate, "foreste espressive", e cavità del corpo. Osserva una realtà colta in istantanee surreali o iperrealistiche in cui lampeggiano per un attimo:

alberi anneriti
impiegati al guinzaglio
cani in abiti d'ufficio

a dare il segno di un mondo caleidoscopico dove l'io onnivoro entra ed esce da sé, si de-umanizza, si metamorfizza in figure animali, vegetali, perfino in umori. Di questa realtà multiforme e devastata che non concede spazi di rilassamento o soste da trascorrere in tranquillità, rimane una serie di immagini nette, dai contorni precisi benché a volte succinti, anche quando sono cadenzate dal ritmo dei novenari e poggiano sul piano onirico:

Sollevai il lenzuolo ingiallito
sotto c'era un sole emaciato
steso e bianco più della luna .

Vincitore del premio "Alfonso Gatto - Opera Prima - 2003", Divisori orientali (Manni Editore, Lecce, 2002, pp. 70) è un libro lucido, di qualità.


dal sito Fucine Mute, Webmagazine, n. 57, 8 novembre 2003, di Matteo Danieli     (inizio)

Intervista ad Alessio Brandolini
"Vagabondo a piedi nudi"

Matteo Danieli (MD): Hai passato un lungo periodo d'astinenza dalle case editrici. Cosa ti è successo?

Alessio Brandolini (AB): Beh, tante cose, che forse aiutano anche la poesia. Ho fatto dei figli, per esempio. Ho lavorato e letto molto, camminato, piantato alberi... in fondo dieci anni per scrivere un libro non sono mica tanti!

MD: Incominciamo dal tuo libro, in particolare dalla prima citazione, con cui apri la raccolta: Nulla è virtuale. / Se non il nulla / che ci circonda. Se questi DIVISORI ORIENTALI fossero un grande viaggio del "turista volontario" nel mondo della televisione - passando dagli scenari di National Geographic alle pagine di Cronaca Nera, dalle Tribune Elettorali agli Stadi di Calcio, ai Tradimenti, agli Amori - allora quella citazione avrebbe quasi l'effetto dell'ultima parola: il telespettatore spegne lo schermo e se ne va a dormire, "Nulla è virtuale. / Se non il nulla / che ci circonda", fantastico!, i DIVISORI sono stati una grande metafora dell'immagine-mondo occidentale.
Ma è proprio così? Il tuo è un mondo guardato attraverso lo schermo? Che cosa inghiotte il virtuale? Come hai scelto il titolo della raccolta?

AB: Quante domande! Il virtuale, ti chiedo, sostituirà il reale? I monitor cattureranno del tutto la nostra attenzione? Sappiamo (o sapremo) usare bene i nuovi mezzi tecnologici o ne verremo usati? O profondamente cambiati?
Le "deformazioni" che avvengono dentro alcune poesie dei DIVISORI ORIENTALI nascono da uno sguardo obliquo e mobile sulla realtà. Un modo di leggere le cose dovuto all'assenza di certezze, di forti punti di riferimento e al continuo smottamento dei punti cardinali. Alla mancanza di un solido pavimento sotto i piedi, a una eccessiva intrusione nella nostra quotidianità (e nella nostra coscienza) della tivù, del monitor, delle telecamere. Alla vita trasformata in spettacolo che rischia di scivolare velocemente dal reale al virtuale e, quindi, dal virtuale al nulla.
Il titolo della raccolta, DIVISORI ORIENTALI, è ripreso da una poesia, l'ultima. Ma alludo a qualcosa che divide l'uomo, lo separa. Qualcosa che viene da molto lontano, nel tempo e nello spazio.

MD: In certi momenti ci regali delle immagini folgoranti, come l'attacco di "Susino in vetro giallo". Alla lunga però esse non sembrano tenere all'interno dei singoli testi e viene da chiedersi "Perché le ha usate?". Da qui si potrebbero aprire molte questioni di ordine teorico ma a me interessa chiederti: il poeta oggi deve essere chiamato a dimostrare un dominio sui suoi propri mezzi tecnici? Nel tuo caso, ciò che si distacca dal razionale per entrare nel fantastico o nell'onirico - magari attraverso una similitudine sinestetica, come l'attacco della poesia citata - ha soltanto la funzione di sintonizzare il lettore su un'altra lunghezza d'onda?

AB: Allora: "Susino in vetro giallo" è una poesia alquanto oscura, lo ammetto, e forse proprio per via delle "immagini folgoranti" di cui tu parli. Per questo avevo pensato di tagliarla dalla scelta che stavo operando per questa raccolta. Così da lasciare spazio a testi più diretti, più "narrativi". Però DIVISORI ORIENTALI , come spiego in una nota alla raccolta, è una specie d'antologia personale, una scelta di poesie venute fuori in più d'un decennio. Non me la sono sentita di eliminare testi più complessi, magari oscuri, ma che riescono a evocare bene la mia infanzia, e i momenti a essa collegata: come ricordo dal presente al passato, come ricordo delle paure di quel presente proiettato verso il futuro.
Ci sono diversi fili nella raccolta che s'intrecciano e provano a tessere un'idea personale di poesia. I miei testi partono quasi sempre dalla realtà circostante e poi vi ritornano. Spesso passando per sentieri fantastici, per i sogni, e quelli sono i momenti ideali per creare immagini forti, significative che sì, come tu dici, possono servire a sintonizzare il poeta (e spero anche il lettore) su una lunghezza d'onda non abituale, straniante. Per poi captare segnali che altrimenti risulterebbero inascoltabili, inavvicinabili, o incomprensibili.

MD: Chiameresti in certi momenti la tua poesia "realismo magico"?

AB: No, sarebbe fuorviante. La mia poesia è quello che è. La realtà non si fa mai del tutto magica. Esploro degli stati d'animo percepiti stando di fronte alla realtà, e per riuscire ad esprimerli mi capita di utilizzare (o creare) immagini simboliche, o anche "magiche". Ma quello non è mai il fine ultimo.

MD: Il tuo modo di scrivere spesso ha dei versi lunghi, equilibrati. Si ha l'impressione di una voce calma e controllata - organizzata - che regola il gioco della versificazione. Ogni tanto compaiono un meglio allora, un infatti o un invece che misurano l'andatura e avvicinano il tono confidenziale. A me è sembrato che questa voce fosse presente in tutta la raccolta (anche dietro i versi brevi) e richiedesse un tentativo di tenere sempre sotto controllo lo stato emotivo nell'intera operazione, come a dire che nella tua poesia - soprattutto nelle tue poesie "civili" - ci sono emozioni ma non emotività. Esse vengono sempre prese nella morsa di uno sguardo british, savoir faire, inscomponibile (penso a Stabilità della fuga) a volte sospeso tra il cinico e il drammatico (penso a quel graziosi fuochi artificiali che chiude Cronaca nera). Sono proprio questi due elementi, la voce e lo sguardo, ciò di cui dobbiamo farci forti nel mondo d'oggi?

AB: Non lo so. Il mio sguardo è quello: talvolta eclettico e ironico, spesso colloquiale, sì, però mai cinico. Duro sulla situazione sociale e umanitaria che stiamo attraversando.
Provo a lanciare delle idee, che sono anche grumi di emozioni. La poesia non è che possa fare gran che, ma nel suo può aiutare a riflettere, forse a spostare lo sguardo, a mettere a fuoco certi aspetti trascurati: del nostro io moderno, della realtà in cui viviamo.
Sulla calma e il controllo di cui parli penso sia dovuto anche alla lunga sedimentazione dei versi passati attraverso riflessioni e molteplici revisioni. Senza alcuna fretta. Allora lo "sguardo british" a cui ti riferisci può essere il risultato di questo raffreddamento degli stati emotivi che comporta, però, un loro intenso approfondimento.

MD: La città è una trappola e il computer un intruso? Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?

AB: Nella città si vive bene, tutto sommato, eppure si soffre molto. In campagna si vive male, si sta troppo soli, non ci sono i cinema... eppure si è quasi felici. Possibile un compromesso?
Con il pc? Prudente, un po' distaccato, ma lo uso spesso, lo sfrutto al massimo, e provo a non farmi usare. Internet, per esempio, è un mezzo potentissimo eppure i rischi insiti nella rete ci sono e vanno visti, analizzati. Questo non significa rifiuto, ma curiosità mista a pignoleria. Non bisogna lasciarsi prendere dalle mode. Tu, per esempio, hai già il tuo blog?

MD: No, non ancora. Dietro la metafora di Zattere i figli si rivelano come la promessa con cui riallacciare un discorso ininterrotto con le tradizioni ma ad ogni generazione questo nesso si sfilaccia sempre di più, e le zattere si appesantiscono.Tu hai due bambini. Quali sono gli autori contemporanei che tramanderai (a parte Brandolini)?

AB: In quella poesia inverto il luogo comune che i figli non ascoltano i padri. Tant'è che scrivo:

I vecchi ascoltano
poco i giovani

I vecchi siamo noi, dal punto di vista dei bambini. Se siamo troppo presi dalla tecnologia, dal vortice delle immagini, e dalla cura eccessiva della nostra immagine, come facciamo, poi, a sentire davvero le cose che ci attorniano, a parlare con calma ai figli, o magari anche con il nostro vicino? E non in modo virtuale, ma concreto. Le faccine di internet non potranno mai sostituire il volto d'un uomo, o un vero e proprio abbraccio. Tant'è che oggi non si usa più abbracciare una persona: se lo fai rischi di passare per un tipo un po' strano... Magari dici tutto su internet: fai un tuo bel sito, apri un blog e confessi le tue frustrazioni, i gusti, i sogni... metti anche le foto mentre vai al cesso o ti masturbi. Tutti ti sembrano amici ("gli amici della rete"), però, nella realtà, non conosci nessuno, né t'interessa farlo. In sostanza ce ne stiamo ben chiusi nelle nostre stanze, diffidenti l'uno dell'altro, anche se comunichiamo e abbiamo sempre i video accesi. Ecco: c'è il rischio che tutto diventi gioco e finzione, che le nuove tecnologie anziché unire frantumino ancor più le relazioni umane
Presto i nostri figli faranno l'amore e si sposeranno via e-mail, faranno un viaggio di nozze nel web e poi divorzieranno (magari per finta) nello show-quiz più seguito in quel momento.
La poesia allora può diventare una specie di trincea per difendersi dal vuoto, per resistere all'approssimazione, alle chiacchiere televisive e telematiche.
Sì, occorre tenere la zattera leggera. Camminare spesso. Magari a piedi nudi, sulla terra. Incontrare le persone e parlarci. Avere il coraggio e soprattutto la pazienza d'aprire un dialogo nuovo con il mondo.
Di autori buoni, anche contemporanei, da tramandare ai figli ce ne sono parecchi, per fortuna, e ce ne saranno sempre. Questo un po' lascia ben sperare.

MD: Cosa ti ha spinto a scrivere Frammenti dopo l'esplosione? Quali sono le implicazioni filosofiche di un noi in poesia rispetto a tanti io?

AB: Tanti Io non fanno un Noi. Ci si frammenta sempre più, ci si frantuma. Ma il noi è esploso perché è esploso prima l'io? può darsi, non sono un filosofo. Certo, a volte si fa fatica a stare assieme, non siamo più abituati e i rapporti umani si sfilacciano, si fanno banali, ambigui, timorosi, schizofrenici, anche. Il sistema di lavoro è cambiato e seguita a cambiare in modo vorticoso, aumenta il precariato che alimenta insicurezza, nervosismo... In fabbrica non c'è più la catena di montaggio, ed è un bene, ma il lavoratore che se ne sta da solo a spingere tasti soffre lo stesso. Forse più di prima, si sente appagato, forse, ma anche più isolato. Non a caso ci si azzanna spesso, guarda tu gli stadi cosa sono diventati! E l'egoismo e l'indifferenza sono in forte ascesa, tirano molto sul mercato...
Per me la poesia è anche condivisione di sentimenti, per questo provo alcuni registri colloquiali e tento d'avvicinarmi a un ipotetico lettore, così da non essere solo. Per ricomporre un io con l'aiuto dell'altro. E tendere a un noi. Necessario, indispensabile. Per la vita, per la nostra terra.

MD: Come mai hai scelto una poesia che potesse parlare anche di cronaca nera, di borghesia mondana, di vita di coppia? Che cosa t'interessava raccontare delle classi sociali romane?

AB: La poesia non deve chiudersi in casa, starsene recintata nei libri. Deve muovere il culo e andarsene a esplorare zone grigie e marginali della vita, della società in cui viviamo, e, contemporaneamente, dell'uomo, di noi stessi (anima? coscienza?). Sporcarsi la faccia, le dita. Stancarsi nelle gambe e nella braccia. La poesia non può essere l'isola felice, il rifugio, l'amaca dove rilassarsi. La poesia per pochi eletti non la concepisco. E allora ecco che provo a raccontare, in versi, ciò che vedo e sento camminando nella mia città, nel quartiere popolare e popoloso di Roma in cui vivo ormai da molti anni. E quindi la fretta, il caos, la smania, il fenomeno dell'immigrazione. La cultura che s'assottiglia, i valori che traballano. La famiglia: una barca sempre più piccola e che perde acqua da tutte le parti. L'ipocrisia, il cinismo e la furbizia che passano per intelligenza e raffinatezza. La terra che soffre, gli alberi che s'ammalano e facciamo finta di niente. Il classismo che cambia faccia, s'imbelletta ma mette radici più salde. L'amicizia che s'impoverisce, che rischia di ridursi a uno scambio, a qualcosa di molto superficiale, che non coinvolge, che ci annoia. Come se i cuori fossero stati sostituiti con perfette micropompe, così da tenere bassa la pressione sanguigna e affaticare meno gli uomini. Come scrivo nella poesia Eczema:

(...)
È divenuto indispensabile, quindi
ripopolare la superficie terrestre
e poi muoversi alla svelta
guarire il fegato, lo stomaco
e, infine, rettificare l'origine
d'ogni problema e cioè
               il cuore
sostituirlo, se necessario
con moderne micropompe
così da evitare inconvenienti
con arterie vene muscoli arti
e gli emisferi cerebrali.
(...)

MD: Puoi darci qualche anticipazione del tuo prossimo lavoro? (magari anche un inedito).

AB: Ecco: estraggo il prezioso materiale dal prossimo lavoro poetico che s'intitola Poesie della terra, che uscirà nel 2004 per LietoColle libri. Aggiungo, in via del tutto eccezionale, qualcosa delle Alterazioni climatiche, una raccolta inedita.
Beh, ringrazio, vi saluto e... fucinemutate bene!

(seguono testi poetici)


dal sito Sinestesie, Rivista di studi sulle letterature e le arti europee, ottobre 2003, di Raffaele Piazza     (inizio)

Alessio Brandolini è uno dei poeti più interessanti tra i giovani poeti italiani e vive e lavora a Roma; nel 1991 ha vinto la sezione inediti del Premio Montale con la raccolta poetica L'alba a piazza Navona, pubblicata nell'antologia "Sette poeti del Premio Montale". Il testo di cui ci occupiamo in questa sede è risultato vincitore al Premio "Alfonso Gatto 2003 - Opera prima" e presenta come cifra inconfondibile il carattere dell'originalità, innanzitutto dei contenuti, e poi anche dello stile.

Nell'enorme numero di poeti o presunti tali, che pubblicano in Italia in questo postmoderno ansante, velocissimo, eppure pieno di innovazioni che, usate nel migliore dei modi, migliorano in meglio la vita (vedi Internet ed e-mail), Brandolini è tra i più bravi e merita la nostra attenzione. Il testo non presenta scansioni e, forse, anche per questo, è caratterizzato da una forte coesione, un filo rosso che lo caratterizza, fatto per cui gli si potrebbe attribuire un carattere poematico.

La chiave interpretativa dei temi, dell'etimo, del senso di questo libro, la si trova nell'acuta prefazione che ne fa Giovanna Zoboli, della quale citiamo un passaggio:-"Alessio Brandolini è un coraggioso esempio di turista volontario; la sua poesia, una cronaca da territori e luoghi che abitualmente ci si affanna a giurare di non aver visto né visitato, specialmente in comitiva o in viaggi organizzati. I Divisori orientali sono una guida in versi per turisti che a casa non sono mai ritornati. E' ammirevole che qualcuno così dotato abbia ancora il cuore e il fegato di scrivere versi destinati a questa categoria di dannati a cui tutti-intelligenti, curiosi sensibili colti-apparteniamo."

Precisione e leggerezza connotano la scrittura di Alessio Brandolini e i versi sono spesso verticali, raccolti in strofe, e il poiein, il fare poesia, è caratterizzato da uno stile controllato e da una dizione sempre scabra ed essenziale sempre sorvegliata. L'io lirico è praticamente inesistente e si avverte, costantemente, la presenza di una certa narratività, nella quale è però presente un certo scarto, una deviazione dalla lingua standard, che caratterizza sempre, in diversi modi, il fare poetico; poesia antilirica, dunque, senza paesaggi, cieli, incanti o meraviglie ma caratterizzata, piuttosto, da una durezza, che però non è mai stridente, ma invece è traccia del tentativo del superamento di un quotidiano che, probabilmente va stretto al poeta come a qualsiasi abitante dei Paesi occidentali del nostro 2003. Raramente, in questa poesia intellettualistica e dallo spessore vagamente filosofico, compare un tu, con cui il poeta si confronta; è un tu femminile, un'amata, alla quale il poeta si rivolge e con il quale inevitabilmente si confronta. Leggiamo in Acquisti inquisiti:

Come te nessuna, davvero
nessuna come panna inacidita
che stura le narici
schiude la bocca
a una dolcezza per niente armoniosa.

Bambola, vedrai
ci divertiremo parecchio!
Però prima di farlo
dammi solo il tempo
di lavarmi le mani
aspetta qui
solo un momento.

Davanti allo specchio del bagno
il volto
è una macchia coi buchi
che si dilata da tutte le parti
perde l'identità
posseduta per caso
fino a un attimo prima.

Così l'orgoglio
del maschio si trasforma
in un mucchio di stracci
disseminati per tutta la casa.

Qui la tematica, dolcemente erotica, è imbevuta d'intellettualismo che non arriva, però, mai alla freddezza, per esempio, quando, nel bagno, il volto diventa una macchia coi buchi che si dilata da tutte le parti e perde l'identità: del resto, in questo caso, la costellazione dell'identità, oltre che essere composta dalle azioni e lo status nella vita, dal ruolo sociale ed esistenziale, è connessa anche all'amplesso con la donna, definita affettuosamente bambola: del resto il congiungimento carnale, infatti, presume una fusione di anima e corpo, quindi, da parte del poeta, può essere, forse inconsciamente, vista come una creazione di una nuova identità, che potremmo definire duale.

Eppure, dimostrando la sua multiformità, la sua ricchezza di originalità di cui si diceva, nella quarta strofa della poesia Via Labicana compare un io poetante, mentre il discorso è sempre, di solito in terza persona, leggiamo la quarta strofa:

A lungo
ci medito sopra
poi vengo fuori
un poco alla volta
dal buco della notte
testa e zampina
zampina e collo.

Sfila un corpo
nudo
privo di sesso
dai gesti lenti
gesti puliti
dalla nascita a mollo
nell'acqua benedetta.

Qui si vede la tensione verso la corporeità, che è un'altra delle caratteristiche tipiche di questa poesia.

Molto bella l'ultima poesia, intitolata Divisori orientali, come del resto il titolo del libro:

E ora che sono a casa
come ammazzare il tempo
dietro la porta in noce
superblindata
dalle splendide cerniere
coi cuscinetti a sfera
lire un milione e cento
spioncino
mostre e montaggio
compresi nel prezzo?

Il pozzo asciutto
la corda scivolosa
il secchio rotto.

C'ero caduto un po' per caso
un po' perché tutto preso
nella parte del losco personaggio
che m'avevi assegnato.
(...)

Il viaggio ad occhi aperti o reale è finito, si ritorna alla casa: i personaggi e le comparse sul teatro della vita si dileguano e a noi resta da immaginare il poeta nel suo mondo domestico, nominato attraverso gli oggetti che lo compongono: emblematica e forse simbolica l'immagine del pozzo asciutto, un pozzo dove? Forse nella casa: fonte di acque da recuperare come un segno per dissetarsi e riprendere il viaggio della vita, fare il turista, magari nella propria città.


dal sito Writers, settembre 2003, di Ivano Malcotti     (inizio)

Intervista ad Alessio Brandolini

La "parola poetica" è aderenza o sintesi fantastica della realtà?

La mia fantasia parte dalla realtà e non si fa mai pura astrazione. Anzi, tende a far ritorno alla realtà.

Nei tuoi versi si mescolano diversi tipi di registri tematici: il colloquio, l'interrogazione esistenziale e la discorsività introspettiva, quanta necessità personale c'è nella tua poesia?

Il registro colloquiale di molti miei testi, anche quelli di tipo più introspettivo, nasce dalla voglia di dialogare con un ipotetico lettore. E questa, per me, è una necessità molte forte, tanto quanto quella d'esprimere (ormai da parecchi anni) in versi quello che sento: una fusione d'idee ed emozioni.

Hai ricevuto un premio di grande prestigio: il "Premio Alfonso Gatto 2003 - sezione Opera prima", con "Divisori Orientali" (2002, Manni Editore). Ti aspettavi un riconoscimento così importante?

Non ero a conoscenza che la mia raccolta fosse stata inviata dall'editore al "Premio Alfonso Gatto". Immagina, quindi, che sorpresa! Anche la serata della premiazione è stata interessante e importante perché ho potuto parlare di poesia e leggere i miei testi nello stupendo teatro Giuseppe Verdi di Salerno, il 7 maggio scorso, davanti a una qualificata giuria e - soprattutto - a un pubblico numeroso e attento.

Ho alcune curiosità a proposito di "Divisori Orientali". La raccolta prende spunto dagli orrori ormai quotidiani che ci vengono presentati dai nostri media?

"Divisori orientali", come scrivo in una nota all'inizio del libro, è una specie di antologia personale di testi composti in un lungo arco di tempo. Questo in considerazione del fatto che dopo la silloge "L'alba a piazza Navona" pubblicata da Scheiwiller nel 1992, con la quale vinsi il "Premio Montale 1991 - sezione inediti", non avevo pubblicato più nulla. Per questo la raccolta è piuttosto eterogenea, fatta di tanti percorsi, di fili che s'intrecciano e provano a tessere un'idea personale di poesia. La televisione (schermi, monitor, video...) è molto presente nei miei testi, e ancor più nella raccolta inedita "Alterazioni climatiche". La televisione, ormai, è diventata il nostro occhio preferito. Un bene? certo, ma può essere anche un gran male. Siamo più informati, conosciamo luoghi e paesi dove non siamo stati e forse non andremo mai. Ma non sempre - o quasi mai - ciò che vediamo corrisponde alla realtà dei fatti. Tutto è abbellito o, anche, reso più duro, in base alle necessità di quel programma. Tutto si trasforma in spettacolo, anche quando si parla di tragedie enormi. E poi ci s'impigrisce: vedo la tivù, gioco alla play, mi collego a internet... e questo mi basta, non ho bisogno di nessuno. Perché uscire di casa? Perché affaticarsi a scoprire il mondo con i propri occhi?

Noto che nelle molte recensioni che ha ricevuto il tuo esordio poetico, la maggioranza dei critici si sofferma con maggior interesse sulle liriche di taglio esistenziale, meno su quelle diciamo "sociali": è così difficile in Italia parlare di poesia di "impegno civile"?

Per fare poesia oggi, in modo serio, ci vuole coraggio. A che serve, in fondo, scrivere versi? Non è una perdita di tempo? Quanto ci si guadagna? Quante copie si vendono? E poi si diventa importanti o famosi? T'invitano per caso nei salotti televisivi? Scherzo, però leggere versi (o parlare di libri) in tivù vale niente e quindi si preferisce, per esempio, l'intrattenimento di chi dà dell'assassino a un giudice che fa il proprio dovere o gli spettacoli di varietà che mettono bene in evidenza tette e culi. Per questo fare poesia in modo onesto - anche se si parla esclusivamente della propria vita, delle proprie esperienze - è già un modo per impegnarsi civilmente. Si va controcorrente, ci si ferma a riflettere, si cammina con le proprie gambe. Lo stesso vale per la lettura di un buon romanzo, o versi che spalancano nuovi orizzonti, che ci costringono a pensare o sentire in modo diverso. Per tornare alla mia poesia: essa vive soprattutto all'esterno, molti testi li scrivo prima nella mia testa camminando nella mia città (Roma), nella zona periferica dove vivo da molti anni (Villa Gordiani, al Prenestino). Vedendo quello che mi accade attorno: i cambiamenti, le trasformazioni che si verificano talvolta in modo repentino. Magari raccogliendo firme per la sistemazione di un parco, di una scuola. A volte il mio occhio è una specie di zoom che s'incolla agli uomini, agli alberi, alla terra, alle cose, eppure questo non mi basta... la descrizione in versi della vita che mi sta attorno (o dentro) non mi fa sentire meglio, non mi appaga, non mi esalta... La poesia è gioia, sì, eppure può essere anche dura sofferenza. E' togliere di mezzo gli schermi, i divisori: scoprire una realtà feroce, l'ipocrisia che c'è nell'uomo, e quindi anche in me, i pericoli gravissimi che stiamo correndo mirando al nulla, alla superficialità, al pensiero minimo, alle chiacchiere televisive, al successo, alle "guerre preventive"...

Nella quarta di copertina con molta precisione Giovanna Zoboli ti indica come un turista volontario. Che tipo di viaggio è la poesia? dove ti ha condotto la poesia?

E' un po' il seguito di quando dicevo nella risposta precedente. Scherzando dico sempre che un buon poeta deve essere prima di tutto un buon camminatore... non a caso Giovanna Zoboli è una ciclista infaticabile. Non mi convincono molto i poeti che fanno tutto in casa, nel proprio studio, che non parlano con nessuno altrimenti perdono tempo, che spremono versi sapientissimi da altri sapientissimi versi. Per me la poesia è legata all'uomo, alla terra, al paese e alla città dove si vive, alla vita quotidiana... Un poeta è un Ulisse in cerca di nuovi mondi, diversi da quelli che conosce, al di là del suo mondo o calato nel suo mondo per esplorarlo in profondità. Questo lo si può fare anche stando appartati, penso alla grande Emily Dickinson: dipende da come ci si pone davanti alla vita, alla realtà e, poi, di conseguenza, di come si fa poesia.

Cito letteralmente, sempre la quarta di copertina: "I Divisori orientali sono una guida in versi per turisti che a casa non sono più tornati", da cosa fugge Alessio Brandolini?

Quando si viaggia con un po' d'attenzione, e a volte basta solo una passeggiata intorno al proprio quartiere (non occorrono mica viaggi costosi e posti lontanissimi ed extralusso! Vedi, per esempio, La passeggiata di Robert Walser...), si possono scoprire tantissime cose. Quindi difficilmente, se queste cose ci toccano, si torna "a casa" come prima, come se nulla fosse stato. L'indifferenza che domina i nostri tempi è anche una necessità difensiva: è la corazza che ci protegge da noi stessi e dagli altri, dal mondo, da una realtà sgradevole, dalla paura di cambiare, di conoscersi a fondo. L'indifferenza trasforma l'uomo in una statua di ghiaccio che non si scioglie nemmeno sotto il sole dei tropici, in un uomo cieco, e questo può accadere pur stando in movimento, perennemente in vacanza.

Nella poesia "Testimone oculare" parli di fatti importanti della Storia, sotto i flash. Quanto sono imbavagliati questi flash? Siamo di fatto sotto l'assedio orwelliano del grande fratello?

I mezzi di comunicazione sono una grande ricchezza per l'uomo... che si può trasformare in una grande minaccia: quella di vedere tutto e non capire più niente. Ho conosciuto persone commosse fino alle lacrime davanti alle immagini di attentati trasmesse ripetutamente dai tg (fanno molta impressione e, quindi, audience) che però usano scantonare con durezza clochard in cerca di qualche spiccio... o chiedono che la marina affondi a cannonate le barche piene di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra o dalla fame...

Che ruolo può avere la poesia nella realtà contemporanea?

Non esalto la poesia, se lo facessi cadrei in una trappola mortale. La poesia è tutto, potrei pensare, allora mi (ci) salva: ecco quindi il mio (nostro) bel rifugio, l'orticello da coltivarsi stando appartati. No, meglio non esaltarla troppo. La poesia può essere una trincea, un punto d'appoggio per resistere al vuoto, alla superficialità che dilaga ovunque, questo sì. Per poi magari provare a rilanciare dei valori che, in fondo, sono gli stessi che hanno permesso all'uomo di procreare e progredire: la fratellanza, l'amore per tutte le cose che vivono, il rispetto profondo e sentito per il nostro pianeta.... Questo lo si può fare solo se i poeti non esaltano se stessi e la poesia in generale. Se si sforzano di diffondere l'amore per la cultura, la conoscenza, la lettura, l'approfondimento. Se fanno poesia in modo coraggioso e, senza boria e invidie reciproche, la promuovono ovunque sia possibile. La poesia fa riflettere, riscalda, accende il cuore, la mente, lo spirito. Spinge a ragionare con la propria testa, a sentire le cose con i propri sentimenti... a usare i propri occhi e non quelli della televisione. La poesia, in fondo, è un invito alla ribellione.

Nella tua poesia c'è ricerca linguistica e contenuto; allora possiamo sfatare la stucchevole domanda, contenuto o parola?

Il contenuto non esiste senza parola, senza linguaggio. Ma cos'è la parola senza contenuto?

Il tuo prossimo impegno con la poesia?

Nel tentativo di essere coerente organizzo nella mia città, soprattutto con il gruppo "I LIBRI IN TESTA (vi invito a fare un salto sul nostro sito: www.geocities.com/ilibrintesta), reading e incontri letterari. Il prossimo impegno con la poesia è una cosa che mi riguarda, ma come componente di questo gruppo che ama "leggere a voce alta". Il 27 settembre, presso l'Antica Libreria Croce di Roma, "I libri in testa" proporranno un incontro che ha come titolo "LA CITTA' IN VERSI (...Until We met the Solid Town...)". Leggeremo testi di poeti che parlano della loro città, avremo degli ospiti, coinvolgeremo il pubblico con le nostre letture, rifletteremo insieme sul significato della poesia, dei versi che parlano (o urlano) della vita urbana: Emily Dickinson, Giuseppe Gioacchino Belli, Vittorio Sereni, Giovanna Zoboli, Rainer Maria Rilke, Sandro Penna, Pier Paolo Pasolini, Trilussa, Umberto Saba, Mary Barbara Tolusso, Vladimir Majakoskij, Umberto Fiori, Costantinos Kavafis, Mario Santagostini, Durs Grunbein...


da Il Secolo d'Italia, 8 luglio 2003, rubrica "Il pensiero poetante", di Nicola Vacca     (inizio)

Brandolini, il poeta errante nei territori dell'anima
Nella poesia di Alessio Brandolini il Tempo è soggetto ad una consumazione esistenziale in cui l'idea del viaggio errante fa da sfondo alla ricerca di luoghi da esplorare.
In Divisori orientali (Manni editori, pp. 70, euro 8,00) il poeta romano raccoglie una serie di testi composti in un largo arco di tempo che va dal 1977 al 2001. In questi versi, certamente dal suo autore, è maturata un'idea di fuga errante da perseguire sempre per non rimanere incastrati nella vita di tutti i giorni.
Il poeta, nello stupore del verso, scopre il gusto di scoperta, e non si arrende al destino e all'assenza. Così Brandolini scrive:

Le ore migliori
le trascorro seduto
a sbucciare parole
per il misero
pasto quotidiano.

La nobile arte della fuga non è un mero atto di evasione, ma il tentativo di dare forma a qui frammenti di percorso esistenziale che altrimenti sarebbero divorati dalla velocità frettolosa dei giorni.

Un modo come un altro
per starsene alla larga
dalla noia putrefatta
per evitare
le giravolte dell'anguilla
che all'improvviso
guizza sotto il tavolo.

Da Testimone oculare delle cose della vita, il poeta, cono padronanza dell'arte della metafora, non rinuncia a catturare l'istante e consegna alla pagina bianca reportage e cronache di un annientamento esistenziale (Nulla è virtuale / se non il nulla / che ci circonda).
La poesia di Alessio Brandolini è ispirata dall'anatomia dell'irrequietezza cara a quel grande viaggiatore errante che era Bruce Chatwin. Come il grande scrittore-viaggiatore, il poeta è un nomade che nei suoi infiniti viaggi, nella mente e nel cuore, è alla ricerca dell'illuminante esplorazione che scaturisce dal fascino dell'ignoto (Per questo, a volte / accendo una candela / traccio percorsi / all'irriconoscibile / ripristino il sorriso originario / curo i denti guasti / ravvivo con il fuoco / lo sguardo addormentato).

"Alessio Brandolini - scrive Giovanna Zoboli nella prefazione - è un coraggioso esempio di turista volontario; la sua poesia è una cronaca da territori e luoghi che abitualmente ci si affanna a giurare di non aver visto né visitato, specialmente in comitiva e in viaggi organizzati. Magari spinti dal desiderio un po' perverso di vedere cose che si sospettano o si sanno già guaste, perché squallide, risapute o vergognosamente inautentiche".
Il poeta, allora, si immerge nel cuore problematico del mondo per affrontare il travaglio esistenziale della sua modernità dove l'ignoto a volte coincide con il senso tragico della Storia:

Troppo spesso
mi dimentico di dimenticare
chi sono
da dove provengo
per questo poi non vado
da nessuno parte
così a letto
mi chiedo che ci faccio
e nei sogni
perché non dormo.

Questi versi, infine, si leggono come una guida turistica per i luoghi dell'anima e non solo: si scoprono così territori che appartengono all'inconscio con cui ogni giorno le nostre esistenze si misurano.
E se scopriamo nella metafora dell'errare "quello che non siamo e quello che non vogliamo", è anche vero che davanti allo specchio dell'inquietudine, l'ignoto che incontriamo è l'immagine di una meta spirituale che dal fondo della memoria riporta in superficie l'assurdo groviglio di numeri e lancette delle corse senza sosta del Tempo.
Così il viaggio continua alla ricerca di un mancato approdo.


da 30 GIORNI, n. 7, luglio 2003, di Cristiana Lardo     (inizio)

Accenni di poesia attenta alle cose (Dotato di peso e di corpo è il mondo che permea la poesia di Alessio Brandolini)
Può succedere, percorrendo una strada in Grecia, di incrociare grossi camion con la scritta "metaforà" sul telone. Niente di strano: "metaforà" in neogreco significa "trasporti". I mezzi pesanti, allora, sono gli unici deputati.
Dotato di peso e di corpo è il mondo che permea la poesia di Alessio Brandolini. Un mondo visitato in un viaggio lungo tutta la raccolta, accompagnato dalle immagini rese visibili e concrete della parola poetica. O meglio: prima della parola poetica, se non addirittura nonostante essa. La mente cerca di interpretare, di possedere:

ora t'immagino
a infrangere le stelle
con un vecchio cannocchiale
appartenuto a Galilei.

Reso virtuale il reale, alleggerito, come può fare una metafora, o l'occhiata veloce del sightseeing, l'impatto è meno duro. Divisori orientali è la storia di un impatto, che diventa schianto come un grave in caduta libera quando la poesia si sorprende ad accorgersi che tutto ha un peso. Dal reale alla metafora e ritorno, anche a rischio di urtare gli spigoli, e anche ogni gesto impercettibile si carica, in caduta, di responsabilità.
Si potrebbero fare tanti riferimenti. La parola poetica irrimediabilmente occidentale di Brandolini è in qualche modo perfettamente inscritta in una tradizione tutta italiana. Quella di Giorgio Caproni, intanto: treni, valigie, incontri, fino ad arrivare a quella "Stabilità della fuga (p. 36) che ripercorre la Prudenza della guida caproniana, nei temi nella struttura e nel lessico, quasi proponendosene epilogo, dopo quaranta anni. Spunta talvolta il nome di Italo Calvino, ed è l'emblema del viaggio da non percorrere: quello che desidererebbe togliere peso a quei visibilia che nella poesia di Brandolini sono in un certo modo la garanzia dell'oggettività contro Orfeo ("Le divinità/ dovrebbero farla finita/ di giocare a nascondino" p. 42). E, forse più di tutti, quello di Eugenio Montale, con la bellissima scoperta del "tu".

Alessio Brandolini, vincitore del premio "Alfonso Gatto - Opera prima" 2003, è, sembrerebbe, un avveduto lettore di poesia italiana. Sensibile ed accorto nel maneggiare registri stilistici ("Lo stendi tu il verbale?", p. 28), la sua voce lascia eco come raramente accade; perfettamente - ma in modo originale - inscritta in una letteratura sempre più attenta alle cose, al peso, alla realtà.


da La Repubblica, edizione pugliese, 15 giugno 2003, rubrica: "I libri"     (inizio)

Turista volontario
Extra.com "venuti da chissà dove/inavvicinabili/per l'odore, la rabbia/ gli occhi pieni di sangue", "uomini e animali in fuga/dai loro territori: un mondo in cui - è una "preghiera alterata" - "le divinità/dovrebbero farla finita/di giocare a nascondino/di stendersi sulle nuvole/e dormire/un sonno demoniaco. Alessio Brandolini con Divisori orientali (Manni, 8 euro) ha vinto la diciannovesima edizione del Premio internazionale di Poesia "Alfonso Gatto" per l'opera prima (nella giuria presieduta da Dacia Maraini, anche Paola Gatto, figlia del grande poeta). Una guida in versi per turisti che non sono più tornati a casa, suggerisce Giovanna Zoboli.


dal Gazzettino, 16 maggio 2003, di Mary Barbara Tolusso     (inizio)

I suoi Divisori Orientali hanno meritato il Premio "Alfonso Gatto - Opera Prima", prestigioso riconoscimento, presieduto da Dacia Maraini, realizzato annualmente a Salerno. È Alessio Brandolini, romano di origine friulana, che per Manni ha pubblicato ora questa prima raccolta poetica.

Ma Brandolini è attivo nel campo della letteratura da molti anni, non solo come autore che già nel 1991 vinse la sezione inediti del Premio Montale, ma anche come critico militante per riviste come Vibrisse, diffuso bollettino di scritture e letture curato da Giulio Mozzi. Seduce il gioco ironico, coniugato a un verso di ampio respiro, un verso che si dirige verso territori quotidiani e della quotidianità Brandolini ci ritorna il sospiro più essenziale: quella dimensione che contiene, inevitabilmente, qualcosa di "osceno", qualcosa che non vogliamo vedere. Ascesa e caduta di giorni di ordinaria routine, dove la noia dell'altro è anche la nostra noia, dove pure la morte viene indifferentemente liquidata con un verbale (Immersioni). Ma il gioco non è quello di un risentito nichilismo, e i versi non si prestano neppure da lontano alla tentazione di un giudizio. Brandolini osserva, registra, descrive, e questo, al di là della sua maturità di scrittura, si traduce in coraggio, nella capacità di avere uno sguardo (del guardare). Ce lo illustra bene Giovanna Zoboli nell'introduzione: "La sua poesia, una cronaca da territori e luoghi che abitualmente ci si affanna a giurare di non aver mai visto né visitato". Trasgressioni da poeta, certo, mirare alla consapevolezza, alla possibilità della disillusione, a un prezzo per cui non si saprà mai se ne sarà valsa la pena: "Troppo spesso/ mi dimentico di dimenticare/ chi sono/ da dove provengo/ per questo poi non vado/ da nessuna parte/ così a letto/ mi chiedo che ci faccio/ e nei sogni/ perché non dormo".

Ma più forte la tentazione della realtà, quello scarto di realtà che ci permette di spiegare, o almeno tentare di spiegare, quello che siamo. Per certuni "un salotto buono pieno di cani e gatti", per altri "un profilo sereno sull'orlo/ del precipizio", comunque sia, e da diverse prospettive, è l'esistenza reale che sbaraglia ogni personaggio e il più delle volte: Può capitare/ di starci in mezzo/ di viverci dentro/ senza nemmeno saperlo".


(inizio)

 
XIX PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA
"ALFONSO GATTO"
MOTIVAZIONE SEZIONE
"OPERA PRIMA"

premio assegnato ad Alessio Brandolini
per "Divisori orientali" (2002, Manni Editori)

 

Un libro nuovo, originale quanto basta a fornire un campione di poesia non disposta a declinarsi su abusati cliché né ad offrirsi alle raffinatezze intellettuali degli artifici sperimentali. Alessio Brandolini interpreta il suo ruolo di testimone, attento quanto coinvolto, di un'avventura esistenziale che si nutre delle esperienze molteplici realizzate nel corso di una peripezia senza sosta lungo un itinerario di viaggio che, se conosce momentanei approdi, non si propone mete definitive. Riesce a coinvolgerti nell'ansia interrogativa di una ricerca che non sa darsi sosta perché non potrà mai essere placato l'ulissismo che è dentro ognuno.
Una elezione tematica, questa del viaggio da "turista volontario", che consente di esplorare luoghi e momenti in cui possono consumarsi esperienze confortevoli o deludenti, fuori dai rischi d'evasione nell'esotico ma anche fuori da ogni morbidezza regressiva o consolatoria. In coerenza con una visione laica e non confortevole, che consente di affrontare problemi attuali in maniera non certo convenzionale. Qualità confermata nelle scelte stilistiche e linguistiche.

 

Giuria:
Dacia Maraini (Presidente)
Francesco D'Episcopo
Luigi Reina
Walter Mauro
Maria Antonietta Grignani
Paola Gatto


da vibrisse, n. 94 del 16 febbraio 2003, di Mary Barbara Tolusso     (inizio)

Alessio Brandolini, Divisori orientali
Pare che, oggidì, la poetica o le poetiche siano molto più importanti della poesia in sé. Della poesia come atto creativo. Talvolta, quando leggo i testi di alcuni autorevoli italiani, alla fine mi chiedo che cosa abbiano voluto dire. Il fatto è che, avendo a disposizione alcune idee, queste mi si confondono. La mia "debole" mente si ostina a chiedere una cosa sola a questa benedetta contemporaneità, a questo tempo presente già post-e-qualche-cosa: cosa mi dice la post-poesia? Quali post-emozioni mi trasmette? Certo è vero, se si vuole "sperimentare" un nuovo linguaggio, se si vuole investire la poesia di una così straordinaria missione in tempi di massificazione linguistica, mercificazione e bla bla bla, non si può pretendere che i tanti spaesamenti sintattici non seguano il loro lungo e difficile percorso. Un percorso che dura da trent'anni. Nel frattempo la poesia langue, muore, non è più riconoscibile. La sovrasta da una parte il gioco della ricerca linguistica, dall'altra lenti "lacerti lirici d'esistenza". Eppure la poesia non chiede molto: qualcuno che abbia qualcosa da dire e qualcun altro che si emozioni nel riconoscerlo e nel riconoscersi. Perché apriamo un testo di poesia? Perché vogliamo leggere poesia? La poesia, quello che dovrebbe essere, quello che è, in fondo, sempre un decisivo lacerto di realtà. Non è niente di nuovo, la poesia, è una macchia di realtà ben dilatata, slabbrata che non si vuole ricucire. È quello scarto di significato, che fa delle parole qualcosa di più autentico della realtà. Anche se spesso ci sentiamo dire: "Ahimè, la vita non è letteratura!". E invece sì, la letteratura, a leggere dei bravi poeti, ci pare proprio la vita. Niente di più, niente di meno, se non la consapevolezza, in fondo, di un quoziente di immobilità, ma non si sa da che parte: le parole rimangono ferme o è la vita ad essere sempre uguale? Questione che è meglio tralasciare. Tornando invece alla poesia, a quella di un autore come Alessio Brandolini e i suoi Divisori orientali (Manni, pp. 70, 8 euro), fa piacere prendere in mano un testo che è dalla vita che parte sapendo usare la parola poetica con "necessità" e aderenza. Tant'è che giunti in fondo al libro noi abbiamo guadagnato una serie di immagini più credibili del reale, nonostante i versi della Szymborska, posti dall'autore in esergo della prima poesia: "È una gran fortuna / non sapere esattamente / in che mondo si vive". Vezzi da poeti, che sanno perfettamente in che mondo si vive. Così per Brandolini, che non si stanca di ripeterci il mondo (e il modo) in cui esistiamo. Il registro è quello della colloquialità, della discorsività, "abbassamento del tono" insomma. Ma tale parlare poetico, che si mantiene per tutta la raccolta, è la piena messa in gioco della necessità di un dire. I "divisori", innanzitutto, prendono respiro da vicende orrorifiche più o meno presenti quotidianamente nei nostri tubi catodici, bacino di sicura ispirazione per un opportuno impegno. Ma Brandolini raggiunge traguardi più intensi quando a parlare sono i "divisori esistenziali", quelli della noia quotidiana, di un fare tutto occidentale più impegnato in noie di letto che di spada, laddove i "Frammenti dopo l'esplosione" si raccolgono meglio nel "salotto buono pieno di cani e gatti" dove poter in tutta calma "dividere gli utili, scorporare l'Iva e le tangenti...". Dove, appunto, problema è starsene a casa cercando di ammazzare il tempo

dietro la porta in noce
superblindata
dalle splendide cerniere
coi cuscinetti a sfera
lire un milione e cento
spioncino
mostre montaggio
compresi nel prezzo...

(o ancora "Disgelo", "In trincea"). Onestà intellettuale che fa bene ai versi, e che subito rimanda a uno spettro di valori semantici più denso, capace di scendere a fondo e far risalire contraddizioni. Così è che se Divisori orientali ci dà le coordinate di un conformismo esistenziale malato, il poeta sa bene che esistono "Tasche vuote" e "Stanze alluvionate", dove in fondo una tana, per quanto convenzionale, può dimostrarsi la scelta migliore rispetto al caos del mondo. Non è viltà. È l'onestà di ammettere ciò che si vive ogni giorno, e che a stento si ha il coraggio di riconoscere:

Può capitare
di starci in mezzo
di viverci dentro
senza nemmeno saperlo.

Le caotiche anomalie del reale, e le più conformi consuetudini, non si abbandonano a un flusso di suggestioni. Brandolini registra l'esistere cercando di tradurre la cifra dello scarto (tra le pieghe del vuoto) senza alchimie retoriche. Si tenta invece di ricostruire un messaggio, come una struttura oggettiva da analizzare nella "semplice" potenzialità della narrazione. Da qui la forza e la singolarità di uno stile. Il registro discorsivo del testo giunge a chiuse di ampio respiro, vere e proprie aperture di significato sostenute proprio dalla prosaicità dei versi che le precedono ("Immersioni", per esempio). Altre volte l'autore si affida a iterazioni stranianti ("Preliminari alla veglia del sonno" oppure "Travasi circolari") o a rovesciamenti di logica che conducono a un significativo spaesamento ("Fiume morto"). Il filo rosso rimane la possibilità di "riconoscere" e riconoscersi nella realtà, che salda il libro in una profonda unità, la possibilità di osservare diversi ritratti, una sorta di quadri mossi, foto scattate con un residuo di imperfezione. La stessa che crea "divisori" a oriente come a occidente. Perché in fondo, per quanto possa apparire poco poetico, a volte ciò che conta è "Trarsi d'impiccio", farsi venire dei dubbi sul fatto che alla tv non abbiamo capito se quella trasmissione che si intitola "Cose mai viste", nei suoi morbosi splatter, ci mostra del sangue o della vernice. Mentre nessun dubbio, per carità, su cose viste tutti i giorni: "Alberi anneriti, impiegati al guinzaglio, cani in abiti d'ufficio...".


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